Arrigo Sacchi
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Re: Arrigo Sacchi
Arrigo capo degli skinheads
ACMILANo since 1899- Yokohama 2007
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Re: Arrigo Sacchi
a conti fatti, a mio avviso, per semplici motivi economici si antepongono bidoni stranieri a pari grado italiani,e la crisi dei vivai è conseguenza anche, se non soprattutto,di questo.
Kook- Manchester 2003
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Re: Arrigo Sacchi
apologia di Fascismo
ACMILANo since 1899- Yokohama 2007
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Re: Arrigo Sacchi
lol apologia di fascismo per Ancelotti hahahahaha ma crepate idioti ma non avete un cazzo di altro da fare nella vostra vita del cazzo?
Mattia80- Yokohama 2007
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Re: Arrigo Sacchi
Quindi se dovessi dire "Me ne frego!" (esclamazione usata spesso da Mussolini) rischio di essere accusato di apologia del fascismo da parte di qualche idiota?
blitz1960- Yokohama 2007
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Re: Arrigo Sacchi
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Re: Arrigo Sacchi
Se qualcuno si offende per delle parole, significa che i suoi genitori erano inadatti a crescere un figlio.
Puccio7- Beloved User
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Re: Arrigo Sacchi
Puccio7 ha scritto:Non voglio mettere parole in bocca ad Arrigo, e non so leggere nella sua mente, ma credo che l'allarmismo nei confronti dei giocatori di colore nelle giovanili sia anche dovuto al fatto che molte volte e' difficile sapere quanti anni veramente hanno questi ragazzi.
A quel livello, i calciatori di colore hanno gia' un evidente vantaggio fisico. Se poi, qualcuno ha pure un paio di anni in piu', allora il divario diventa veramente evidente.
Esatto, al di là della vera età, anche se lo vedi nascere qui, fino all'adolescenza moltissimi sono straripanti.
Un mio amico che gioca a basket, quando avevamo 14 anni faceva braccio di ferro contro 3 di noi; lui un braccio, noi due a testa, non lo spostavi.
niam- Milano 1995
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Re: Arrigo Sacchi
Sacchi: "Quando per me Berlusconi zittì Agnelli..."
Un'anticipazione di "Calcio totale", da oggi in libreria, in cui il grande allenatore ripercorre la sua carriera. Dalla diffidenza dei giocatori alla volta in cui il presidente del Milan rispose a Romiti
La prima chiacchierata di calcio con Berlusconi e Galliani sino alle 2 di notte. L’ironia dei denigratori, la diffidenza dei giocatori, un progetto coltivato, difeso e condotto in porto contro il conformismo dei tempi. Questo e molto altro nel libro di Arrigo Sacchi in uscita oggi. Il grande allenatore racconta proprio tutto, con raggelante sincerità. Come quando Berlusconi ricevette una telefonata da Romiti: Agnelli aveva saputo che Sacchi era interessato a un certo giocatore e gli intimò di ritirarsi. E il tecnico disse al presidente: "I migliori dobbiamo prenderli noi". Ecco un estratto del capitolo "La cavalcata verso il primo scudetto"
Arrivai a Milano e dissi: "Vi saluto e vi ringrazio: avete avuto coraggio, e così io firmo in bianco. Mi date fiducia e io vi ripago in questo modo".
L’approccio — Il mio arrivo a Milano fu, come sempre, difficile. L’impatto con la squadra fu dirompente, c’era diffidenza ma non prevenzione, dicevo cose diverse sia sul calcio, sia sulla mentalità da tenere in campo, sia nella programmazione degli allenamenti. In Italia hanno bruciato Giordano Bruno. Io ero visto come un eretico. L’ambiente del calcio e una parte dei giornalisti mi consideravano un eversore, un diverso, un avversario, perché mettevo in crisi la loro leadership e il loro ruolo di detentori di un sapere antiquato, vecchio, mentre i giovani e i meno conservatori mi guardavano con interesse. Così mi presentavo a Milano. Chi è questo qui che non ha mai giocato al calcio? Vuol fare delle cose diverse da quelle che abbiamo sempre detto e scritto. Perché cambiare?
La battuta — Una volta m’invitarono alla Bocconi per una conferenza, e la prima domanda che mi fece uno studente fu: "Come può allenare campioni senza esserlo mai stato?". "Non ho mai saputo che prima di essere un fantino bisogna essere stato un cavallo!" risposi, suscitando l’ilarità generale. Ero abituato a questa diffidenza. (…)
La strategia — Una volta Galliani mi disse: "Guarda, Arrigo, che puoi spendere quello che vuoi, non ci sono problemi!". "No" risposi, "dobbiamo comprare i giocatori che ci servono per la squadra e il gioco, e se costano poco tanto meglio, così avrete anche più pazienza: spesso chi spende molto pretende risultati subito".
LE SCELTE — Il Milan che ereditavo da Liedholm era una squadra di calciatori bravi ma non tutti funzionali al mio progetto. Per esempio, Agostino Di Bartolomei era un buon giocatore, ma inadatto a interpretare il calcio che avevo in testa, perciò non lo volli più. Un altro era Dario Bonetti, che giocava anche in Nazionale ma aveva scambiato il giorno con la notte. (…)
I VALORI — Dopo uno dei primi allenamenti, stavamo mangiando a Milanello con tutta la squadra, quando entrò Berlusconi. Nessuno dei presenti si alzò in piedi. I giocatori continuarono a mangiare. Io mi arrabbiai molto, perché quella era una mancanza di educazione e di rispetto verso la proprietà, verso chi crede in te e nel tuo lavoro.
LA TELEFONATA — Mi trovavo ad Arcore, in casa di Berlusconi, quando lui ricevette una telefonata da Cesare Romiti, che allora era un importante manager della Fiat e molto vicino alla Juventus. Romiti gli disse: "Mi ha detto l’Avvocato di riferirti di lasciar stare quel giocatore perché interessa a noi!". Berlusconi era appena entrato nel mondo del calcio, gli Agnelli e la Juventus erano la storia del calcio italiano. Io mi ricordo che stuzzicai un po’ il presidente e lo toccai nel vivo: "Dottore, se dobbiamo diventare la squadra più forte del mondo, non possiamo lasciare le prime scelte agli altri. Ci complicheremo la vita! Non possiamo subire pressioni da altre società per il nostro operato". Il volto di Berlusconi si rabbuiò. Non l’avevo mai visto così arrabbiato. Prese il telefono e richiamò Romiti: "Non permetterti più di fare una telefonata del genere!".
BONIPERTI — Con Giampiero Boniperti ci fu un battibecco. Lui era molto superstizioso, e nel calcio non si augura mai "buona fortuna" perché dicono porti male. "Buona fortuna a lei" gli risposi subito "buona fortuna a lei". La Juventus ci guardava come una squadra e una società subalterne. Loro erano la "Vecchia Signora", ma questo è servito molto per costruire il senso di appartenenza al Milan, all’orgoglio rossonero.
ANCELOTTI — Berlusconi si trovava a Saint Moritz. Gli telefonai. "Mi compri Ancelotti, è un gran giocatore, un professionista esemplare, un ragazzo straordinario, un esempio per tutti". "Ma come faccio a comprarle un giocatore che ha la funzionalità ridotta del 20 per cento?" replicò Berlusconi. "Me lo compri, dottore". "Glielo ripeto: come faccio a comprarle un giocatore con funzionalità ridotte?". "Ma dove sono queste funzionalità ridotte?" chiesi al presidente. "Nel ginocchio" rispose lui. "Il ginocchio non mi preoccupa, mi sarei preoccupato se le avesse avute in testa". Lo convinsi.
www.gazzetta.it
Un'anticipazione di "Calcio totale", da oggi in libreria, in cui il grande allenatore ripercorre la sua carriera. Dalla diffidenza dei giocatori alla volta in cui il presidente del Milan rispose a Romiti
La prima chiacchierata di calcio con Berlusconi e Galliani sino alle 2 di notte. L’ironia dei denigratori, la diffidenza dei giocatori, un progetto coltivato, difeso e condotto in porto contro il conformismo dei tempi. Questo e molto altro nel libro di Arrigo Sacchi in uscita oggi. Il grande allenatore racconta proprio tutto, con raggelante sincerità. Come quando Berlusconi ricevette una telefonata da Romiti: Agnelli aveva saputo che Sacchi era interessato a un certo giocatore e gli intimò di ritirarsi. E il tecnico disse al presidente: "I migliori dobbiamo prenderli noi". Ecco un estratto del capitolo "La cavalcata verso il primo scudetto"
Arrivai a Milano e dissi: "Vi saluto e vi ringrazio: avete avuto coraggio, e così io firmo in bianco. Mi date fiducia e io vi ripago in questo modo".
L’approccio — Il mio arrivo a Milano fu, come sempre, difficile. L’impatto con la squadra fu dirompente, c’era diffidenza ma non prevenzione, dicevo cose diverse sia sul calcio, sia sulla mentalità da tenere in campo, sia nella programmazione degli allenamenti. In Italia hanno bruciato Giordano Bruno. Io ero visto come un eretico. L’ambiente del calcio e una parte dei giornalisti mi consideravano un eversore, un diverso, un avversario, perché mettevo in crisi la loro leadership e il loro ruolo di detentori di un sapere antiquato, vecchio, mentre i giovani e i meno conservatori mi guardavano con interesse. Così mi presentavo a Milano. Chi è questo qui che non ha mai giocato al calcio? Vuol fare delle cose diverse da quelle che abbiamo sempre detto e scritto. Perché cambiare?
La battuta — Una volta m’invitarono alla Bocconi per una conferenza, e la prima domanda che mi fece uno studente fu: "Come può allenare campioni senza esserlo mai stato?". "Non ho mai saputo che prima di essere un fantino bisogna essere stato un cavallo!" risposi, suscitando l’ilarità generale. Ero abituato a questa diffidenza. (…)
La strategia — Una volta Galliani mi disse: "Guarda, Arrigo, che puoi spendere quello che vuoi, non ci sono problemi!". "No" risposi, "dobbiamo comprare i giocatori che ci servono per la squadra e il gioco, e se costano poco tanto meglio, così avrete anche più pazienza: spesso chi spende molto pretende risultati subito".
LE SCELTE — Il Milan che ereditavo da Liedholm era una squadra di calciatori bravi ma non tutti funzionali al mio progetto. Per esempio, Agostino Di Bartolomei era un buon giocatore, ma inadatto a interpretare il calcio che avevo in testa, perciò non lo volli più. Un altro era Dario Bonetti, che giocava anche in Nazionale ma aveva scambiato il giorno con la notte. (…)
I VALORI — Dopo uno dei primi allenamenti, stavamo mangiando a Milanello con tutta la squadra, quando entrò Berlusconi. Nessuno dei presenti si alzò in piedi. I giocatori continuarono a mangiare. Io mi arrabbiai molto, perché quella era una mancanza di educazione e di rispetto verso la proprietà, verso chi crede in te e nel tuo lavoro.
LA TELEFONATA — Mi trovavo ad Arcore, in casa di Berlusconi, quando lui ricevette una telefonata da Cesare Romiti, che allora era un importante manager della Fiat e molto vicino alla Juventus. Romiti gli disse: "Mi ha detto l’Avvocato di riferirti di lasciar stare quel giocatore perché interessa a noi!". Berlusconi era appena entrato nel mondo del calcio, gli Agnelli e la Juventus erano la storia del calcio italiano. Io mi ricordo che stuzzicai un po’ il presidente e lo toccai nel vivo: "Dottore, se dobbiamo diventare la squadra più forte del mondo, non possiamo lasciare le prime scelte agli altri. Ci complicheremo la vita! Non possiamo subire pressioni da altre società per il nostro operato". Il volto di Berlusconi si rabbuiò. Non l’avevo mai visto così arrabbiato. Prese il telefono e richiamò Romiti: "Non permetterti più di fare una telefonata del genere!".
BONIPERTI — Con Giampiero Boniperti ci fu un battibecco. Lui era molto superstizioso, e nel calcio non si augura mai "buona fortuna" perché dicono porti male. "Buona fortuna a lei" gli risposi subito "buona fortuna a lei". La Juventus ci guardava come una squadra e una società subalterne. Loro erano la "Vecchia Signora", ma questo è servito molto per costruire il senso di appartenenza al Milan, all’orgoglio rossonero.
ANCELOTTI — Berlusconi si trovava a Saint Moritz. Gli telefonai. "Mi compri Ancelotti, è un gran giocatore, un professionista esemplare, un ragazzo straordinario, un esempio per tutti". "Ma come faccio a comprarle un giocatore che ha la funzionalità ridotta del 20 per cento?" replicò Berlusconi. "Me lo compri, dottore". "Glielo ripeto: come faccio a comprarle un giocatore con funzionalità ridotte?". "Ma dove sono queste funzionalità ridotte?" chiesi al presidente. "Nel ginocchio" rispose lui. "Il ginocchio non mi preoccupa, mi sarei preoccupato se le avesse avute in testa". Lo convinsi.
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Re: Arrigo Sacchi
Averlo quel Berlusconi adesso...
pollo0389- Montecarlo 2003
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