27 - Kevin-Prince BOATENG
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Re: 27 - Kevin-Prince BOATENG
BOATENG SFIDA ETO'O E DROGBA
Candidato al Pallone d'oro africano
Kevin Prince Boateng, dopo le due giornate di squalifica rimediate nel match con la Roma, può consolarsi con il fatto di essere stato inserito nella lista dei dieci candidati al Pallone d'Oro africano 2011. Nell'elenco, svelato mercoledì ad Accra (Ghana) dalla Caf (Confederazione africana di calcio), oltre al centrocampista del Milan ci sono anche anche l'ex interista Samuel Eto'o (oggi all'Anzhi) e l'attaccante del Chelsea, Didier Drogba.
Per Boateng, in caso di successo, si tratterebbe del primo Pallone d'oro africano mentre Samuel Eto'o è il giocatore che, nella storia, ne vanta di più: il camerunese è stato infatti premiato quattro volte (2003, 2004, 2005, 2010). Il 22 dicembre, sempre ad Accra, sarà svelato il nome del giocatore africano dell'anno.
L'ELENCO DEI CANDIDATI
Adel Taarabt (Marocco, Queens Park Rangers), Andre Ayew (Ghana, Marsiglia), Asamoah Gyan (Ghana, Al-Ain), Didier Drogba (Costa d'Avorio, Chelsea), Kevin Prince Boateng (Ghana, Milan), Moussa Sow (Senegal, Lille), Seydou Keita (Mali, Barcellona), Yao Kouassi Gervais "Gervinho" (Costa d'Avorio, Arsenal), Yaya Toure (Costa d'Avorio, Manchester City), Samuel Eto'o (Camerun, Anzhi).
www.sportmediaset.mediaset.it
Candidato al Pallone d'oro africano
Kevin Prince Boateng, dopo le due giornate di squalifica rimediate nel match con la Roma, può consolarsi con il fatto di essere stato inserito nella lista dei dieci candidati al Pallone d'Oro africano 2011. Nell'elenco, svelato mercoledì ad Accra (Ghana) dalla Caf (Confederazione africana di calcio), oltre al centrocampista del Milan ci sono anche anche l'ex interista Samuel Eto'o (oggi all'Anzhi) e l'attaccante del Chelsea, Didier Drogba.
Per Boateng, in caso di successo, si tratterebbe del primo Pallone d'oro africano mentre Samuel Eto'o è il giocatore che, nella storia, ne vanta di più: il camerunese è stato infatti premiato quattro volte (2003, 2004, 2005, 2010). Il 22 dicembre, sempre ad Accra, sarà svelato il nome del giocatore africano dell'anno.
L'ELENCO DEI CANDIDATI
Adel Taarabt (Marocco, Queens Park Rangers), Andre Ayew (Ghana, Marsiglia), Asamoah Gyan (Ghana, Al-Ain), Didier Drogba (Costa d'Avorio, Chelsea), Kevin Prince Boateng (Ghana, Milan), Moussa Sow (Senegal, Lille), Seydou Keita (Mali, Barcellona), Yao Kouassi Gervais "Gervinho" (Costa d'Avorio, Arsenal), Yaya Toure (Costa d'Avorio, Manchester City), Samuel Eto'o (Camerun, Anzhi).
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DevilRudy- Barcellona 1989
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Re: 27 - Kevin-Prince BOATENG
presente a "io canto" ... ha ballato qualche secondo
PerSempreConTe- Yokohama 2007
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Re: 27 - Kevin-Prince BOATENG
bhuahauahuahuah nigga base che tenta di inserirsi in una società bianca andando a ballare nei posti più tamarri del giovedì sera
Giannino- Yokohama 2007
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dany- Manchester 2003
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Re: 27 - Kevin-Prince BOATENG
povero Jermaine
dany- Manchester 2003
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Re: 27 - Kevin-Prince BOATENG
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#calcio Boateng: "Berlusconi? Un gran brav'uomo. Un giocherellone"
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Re: 27 - Kevin-Prince BOATENG
Boateng e la fine di un amore
Fonte: Vanityfair
Di seguito riportiamo l'intervista esclusiva realizzata da Vanity Fair a Kevin Prince Boateng.
"Certe sere torno dagli allenamenti. Sto lì, solo, nella mia casa nuova e penso: se Jermaine fosse qui, mi correrebbe incontro e mi porterebbe fuori in giardino, tirandomi per la maglia, a palleggiare con lui».
Kevin-Prince Boateng, a cui Vanity Fair in edicola il 23 novembre dedica una lunga intervista, ha 24 anni e gioca nel Milan da uno. A un primo sguardo sembra un duro, fra tatuaggi (36 in tutto), look da rapper e maglia del pugile Muhammad Ali. Invece, è solo «un ragazzo felice, nonostante la nostalgia». La nostalgia di quando finisce un amore, e non puoi farci niente, perché «that’s life», così è la vita. Dici alla madre: «“Basta”, senza urla». Lei allora se ne torna a Berlino, da dove siete venuti. E il bambino, Jermaine, diventa «una vocina di tre anni che senti al telefono più volte in un giorno, e chiede dove sei, perché non lì». Perché «lì» è un check-in e due ore di volo più su, in Germania. E niente è facile come era, prima.
Quando è successo?
«Qualche mese fa. Ci trascinavamo da un po’, l’ho guardata e le ho detto: “È finita, vero?”. “È finita”. Ho fatto la borsa. Dopo otto anni insieme, ero in un albergo».
E lei?
«Che cosa sarebbe rimasta a fare, qui? Io voglio solo il meglio per il nostro bambino. Non avrei accettato che crescesse in un legame spento, ma so anche che cosa significa essere figli di genitori separati».
Ovvero?
«La mia infanzia è stata povera, cattiva. Mio padre era responsabile di un negozio di abiti e io avevo un anno quando lasciò mia madre, casalinga, sola con me e mio fratello George. Lui poi avrebbe fatto altri due figli con un’altra. Lei altri tre, con due uomini diversi. Mio padre smise subito di interessarsi di noi, che non avevamo soldi né cibo, e andavamo avanti a pane e acqua».
Ora che è ricco, aiuta sua madre?
«Le pago l’affitto».
Tornassero a dire che per salvare l’Italia dalla crisi ci vuole pure il suo contributo di solidarietà, come la prenderebbe?
«Penserei che il 48% di aliquota sul mio ingaggio è troppo, perché sì, è vero, si tratta di milioni di euro, ma già tassati».
Come si passa dal «campetto d’asfalto» a San Siro?
«Avevo 7 anni. Era una mattina in cui avevo saltato la scuola per il pallone. C’era Dennis, un ragazzo biondo. Mi giocava contro. A fine partita mi fa: “Sei forte, devo dirlo a papà”. “Papà” era l’allenatore delle giovanili dell’Hertha Berlino».
Poi in Inghilterra, al Tottenham.
«Fu allora che decisi di sposare Jennifer. Stavamo insieme da 4 anni. Era la mia prima tifosa e volevamo arrivare a Londra da “famiglia”. Il matrimonio l’abbiamo pensato e celebrato in tre settimane, a Berlino, nel mio giorno libero. Niente viaggio di nozze, solo il tempo di concepire Jermaine. All’alba, un aereo mi riportava in Inghilterra».
Come vi eravate conosciuti?
«Era la fidanzata di un mio amico. Io avevo 15 anni, lei tre più di me».
E adesso che Jennifer è lontana con vostro figlio, nessun nuovo amore?
«Nessun nuovo amore».
Che cosa le manca del piccolo Prince?
«La mattina, quando mi sveglio e non c’è, è il momento più difficile. Poi mi mancano i suoi occhi che si accendono davanti a un pallone: va pazzo per il calcio. D’altronde ha il mio sangue. E vederlo ballare come Michael Jackson».
Ha il corpo pieno di tatuaggi.
«Amo il ritratto di mio figlio, sulla schiena: è insieme a mia moglie. Ma anche la sua data di nascita. Berlino su un braccio, Prince sull’altro».
Ha appena lasciato la Nazionale del Ghana.
«Finché ero al Borussia Dortmund, mi dividevo. Ma con il Milan, tra Campionato, Champions e Coppa Italia, non ci riesco più. Il mio ginocchio ha subito sei infortuni e altrettante operazioni. Mi fa male persino in aereo, per il cambio di pressione. E mi avvisa se il giorno dopo pioverà. Così, addio Ghana perché tengo alla salute».
Con la Nazionale ghanese, ai Mondiali 2010, ha sfidato la Germania del suo fratellastro Jérome: dicono che non vi siate quasi parlati.
«I nostri rapporti non erano mai stati granché, ma poi si cresce e tutto si livella. Tanto che festeggeremo insieme il mio primo Natale da single, e poi via per una vacanza».
Silvio Berlusconi l’ha incontrato?
«Due volte. Non ti aspetti che un presidente ti dia una pacca sulle spalle. È davvero un brav’uomo. Un giocherellone».
www.milannews.it
adesso capisco il suo nervosismo in questo inizio di stagione...
Fonte: Vanityfair
Di seguito riportiamo l'intervista esclusiva realizzata da Vanity Fair a Kevin Prince Boateng.
"Certe sere torno dagli allenamenti. Sto lì, solo, nella mia casa nuova e penso: se Jermaine fosse qui, mi correrebbe incontro e mi porterebbe fuori in giardino, tirandomi per la maglia, a palleggiare con lui».
Kevin-Prince Boateng, a cui Vanity Fair in edicola il 23 novembre dedica una lunga intervista, ha 24 anni e gioca nel Milan da uno. A un primo sguardo sembra un duro, fra tatuaggi (36 in tutto), look da rapper e maglia del pugile Muhammad Ali. Invece, è solo «un ragazzo felice, nonostante la nostalgia». La nostalgia di quando finisce un amore, e non puoi farci niente, perché «that’s life», così è la vita. Dici alla madre: «“Basta”, senza urla». Lei allora se ne torna a Berlino, da dove siete venuti. E il bambino, Jermaine, diventa «una vocina di tre anni che senti al telefono più volte in un giorno, e chiede dove sei, perché non lì». Perché «lì» è un check-in e due ore di volo più su, in Germania. E niente è facile come era, prima.
Quando è successo?
«Qualche mese fa. Ci trascinavamo da un po’, l’ho guardata e le ho detto: “È finita, vero?”. “È finita”. Ho fatto la borsa. Dopo otto anni insieme, ero in un albergo».
E lei?
«Che cosa sarebbe rimasta a fare, qui? Io voglio solo il meglio per il nostro bambino. Non avrei accettato che crescesse in un legame spento, ma so anche che cosa significa essere figli di genitori separati».
Ovvero?
«La mia infanzia è stata povera, cattiva. Mio padre era responsabile di un negozio di abiti e io avevo un anno quando lasciò mia madre, casalinga, sola con me e mio fratello George. Lui poi avrebbe fatto altri due figli con un’altra. Lei altri tre, con due uomini diversi. Mio padre smise subito di interessarsi di noi, che non avevamo soldi né cibo, e andavamo avanti a pane e acqua».
Ora che è ricco, aiuta sua madre?
«Le pago l’affitto».
Tornassero a dire che per salvare l’Italia dalla crisi ci vuole pure il suo contributo di solidarietà, come la prenderebbe?
«Penserei che il 48% di aliquota sul mio ingaggio è troppo, perché sì, è vero, si tratta di milioni di euro, ma già tassati».
Come si passa dal «campetto d’asfalto» a San Siro?
«Avevo 7 anni. Era una mattina in cui avevo saltato la scuola per il pallone. C’era Dennis, un ragazzo biondo. Mi giocava contro. A fine partita mi fa: “Sei forte, devo dirlo a papà”. “Papà” era l’allenatore delle giovanili dell’Hertha Berlino».
Poi in Inghilterra, al Tottenham.
«Fu allora che decisi di sposare Jennifer. Stavamo insieme da 4 anni. Era la mia prima tifosa e volevamo arrivare a Londra da “famiglia”. Il matrimonio l’abbiamo pensato e celebrato in tre settimane, a Berlino, nel mio giorno libero. Niente viaggio di nozze, solo il tempo di concepire Jermaine. All’alba, un aereo mi riportava in Inghilterra».
Come vi eravate conosciuti?
«Era la fidanzata di un mio amico. Io avevo 15 anni, lei tre più di me».
E adesso che Jennifer è lontana con vostro figlio, nessun nuovo amore?
«Nessun nuovo amore».
Che cosa le manca del piccolo Prince?
«La mattina, quando mi sveglio e non c’è, è il momento più difficile. Poi mi mancano i suoi occhi che si accendono davanti a un pallone: va pazzo per il calcio. D’altronde ha il mio sangue. E vederlo ballare come Michael Jackson».
Ha il corpo pieno di tatuaggi.
«Amo il ritratto di mio figlio, sulla schiena: è insieme a mia moglie. Ma anche la sua data di nascita. Berlino su un braccio, Prince sull’altro».
Ha appena lasciato la Nazionale del Ghana.
«Finché ero al Borussia Dortmund, mi dividevo. Ma con il Milan, tra Campionato, Champions e Coppa Italia, non ci riesco più. Il mio ginocchio ha subito sei infortuni e altrettante operazioni. Mi fa male persino in aereo, per il cambio di pressione. E mi avvisa se il giorno dopo pioverà. Così, addio Ghana perché tengo alla salute».
Con la Nazionale ghanese, ai Mondiali 2010, ha sfidato la Germania del suo fratellastro Jérome: dicono che non vi siate quasi parlati.
«I nostri rapporti non erano mai stati granché, ma poi si cresce e tutto si livella. Tanto che festeggeremo insieme il mio primo Natale da single, e poi via per una vacanza».
Silvio Berlusconi l’ha incontrato?
«Due volte. Non ti aspetti che un presidente ti dia una pacca sulle spalle. È davvero un brav’uomo. Un giocherellone».
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